IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Nel processo n. 1440/95 r.g.n.r. (370/1996 r.g. g.i.p.) nei confronti di Piasini Lorenzo, nato a Poggiridenti (Sondrio), il 14 settembre 1948, ivi residente, via Masoni, 10/A, difeso di fiducia da avv.ti Marco Bonomo e Giovanna Bongiorni di Sondrio, domiciliatari e Zani Sergio, nato a Poggiridenti (Sondrio), il 25 novembre 1932, ivi residente, via Panoramica, 64, difeso di fiducia da avv. Piermaria Corso di Milano, imputati; Il primo: a) del reato di cui all'art. 323 c.p., per avere, in qualita' di sindaco del comune di Poggiridenti, pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni, internazionalmente procurato alla soc. "Giulia S.r.l.", legalmente rappresentata da Triacca Domenico, un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistito nel rilascio della concessione edilizia n. 45/1994 del 5 agosto 1994, per la realizzazione di un edificio ad uso commerciale in Poggiridenti, loc. Conforti-Pignotti, in zona "D produttiva", destinata dal p.r.g. ed accogliere insediamenti produttivi, in violazione delle norme del p.r.g. del comune di Poggiridenti ed in particolare degli artt. 55, 57 e 5 delle norme tecniche di attuazione, che regolamentano rispettivamente le aree destinate ad insediamenti produttivi, quelle destinate ad attrezzature direzionali, ricettive e commerciali e le deroghe alle prescrizioni di piano, e nonostante il parere contrario dell'ufficio tecnico che qui si riporta integralmente: "l'intervento proposto non e' autorizzabile, in quanto rientra in zona di p.r.g. ''D'', che non prevede edifici commerciali". In Poggiridenti il 5 agosto 1994. Il secondo: b) del reato di cui all'art. 323 c.p., perche' nella qualifica di componente della commissione edilizia del comune di Poggiridenti, pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni, procurava alla soc. "Giulia S.r.l." legalmente rappresentata da Triacca Domenico, un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistito nel rilascio della concessione edilizia n. 45/1994 del 5 agosto 1994, per la realizzazione dell'edificio ad uso commerciale di cui al capo che precede, omettendo di astenersi dal prendere parte alla seduta di commissione edilizia del 24 novembre 1993, nella quale veniva esaminata la pratica inerente il rilascio della stessa concessione edilizia, e di esprimere parere favorevole sul progetto allegato alla richiesta di concessione edilizia, avendo egli stesso collaborato con l'arch. Gianola di Montagna in Valtellina, progettista per la soc. "Giulia S.r.l.", alla realizzazione del progetto mediante rilievi in qualitia' di topografo. In Poggiridenti il 24 novembre 1993. Nella udienza preliminare del 25 giugno 1998; O s s e r v a 1. - Premessa. In sede di udienza preliminare il giudice ha il potere/dovere di pronunciare sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere nel caso in cui "il fatto non e' previsto dalla legge come reato" (vedi artt. 129 e 425 c.p.p.). Primo compito del giudice e' pertanto quello di verificare se, in seguito alla modifica normativa dell'art. 23 c.p., apportata con legge 16 luglio 1997, n. 234, ricorrano i presupposti per pronunciare sentenza di proscioglimento (n.d.p. o n.l.p.) perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. 1.1. - Ove tale riscontro dia esito positivo (ossia si ritenga la non riconducibilita' della condotta contestata nel precetto dell'attuale art. 323 c.p.), il giudice dovra' prosciogliere l'imputato in base all'art. 2, comma 2, c.p., trattandosi di fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In tale ipotesi una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 vecchio testo c.p. sarebbe di tutta evidenza irrilevante ai sensi dell'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953. 1.2. - Qualora invece la condotta ascritta all'imputato sia astrattamente sussumibile nella nuova fattispecie incriminatrice, la norma di cui all'art. 323 antevigente troverebbe necessaria applicazione in virtu' dei principi di cui all'art. 2, commi 1 e 3, c.p., dovendo il giudice verificare se la condotta de qua rientri anche nella precedente fattispecie incriminatrice, in vigore al momento della commissione del fatto. Il che ripropone i dubbi di legittimita' costituzionale gia' sollevati dallo scrivente come da numerosi altri giudici di merito e rimasti tuttora insoluti, avendo la Corte costituzionale restituito gli atti ai giudici a quibus, per accertare se la questione di legittimita' costituzionale sia tuttora rilevante alla luce della sopravvenuta legge n. 234/1997 (ordinanza 7 novembre 1997, n. 327). Non sfugge allo scrivente che la giurisprudenza della suprema Corte formatasi in seguito alla entrata in vigore della legge n. 234/1997 ha costantemente affermato essersi creata una successione normativa tra il vecchio art. 323, c.p., ed il nuovo (art. 2, comma 3, c.p., quindi) ed ha precisato che "la nuova fattispecie di abuso di ufficio risultante dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, costituisce legge piu' favorevole - sia in quanto retringe l'area dei comportamenti sanzionati alle violazioni di legge o di regolamento o alle ipotesi di mancata astensione in caso di interesse personale, sia in quanto costruisce una figura di reato di evento, sia in quanto prevede un trattamento sanzionatorio piu' mite - e trova pertanto applicazione anche ai fatti commessi sotto il vigore della precedente normativa". (sul punto Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 1997, n. 11483; sez. VI, 15 dicembre 1997, n. 11520; sez. VI, 22 dicembre 1997, n. 11984; sez. VI, 4 dicembre 1997, n. 11204; sez. VI, 29 gennaio 1998, n. 1192; sez. VI, 23 dicembre 1998, n. 2328). Ma questo orientamento, quand'anche condivisibile, non risolve il problema - che e' a monte - della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 previgente. Si osserva infatti che, in base all'art. 30, terzo e quarto comma della legge n. 87/1953, "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, e' stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l'esecuzione e tutti gli effetti penali". Pertanto, nel caso in cui la Consulta si esprimesse nel senso della incostituzionalita' dell'art. 323 (come novellato dalla legge 26 aprile 1990, n. 86), si verrebbe a creare una vera e propria abolitio criminis (analogamente a quanto previsto dall'art. 2, comma 2, c.p.), con la conseguenza che il giudice per l'udienza preliminare - lungi dal poter prendere in considerazione la suddetta norma per la comparazione con quella di cui al testo vigente al fine della individuazione e applicazione della norma piu' favorevole al reo ai sensi dell'art. 2, comma 3, (attivita' che presuppone la sussistenza di due norme costituzionalmente legittime) - dovra': emettere sentenza di proscioglimento perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato in ossequio al principio di irretroattivita' della legge penale, che gli impedira' di applicare la norma di cui al nuovo art. 323; ovvero, qualora si ritenesse che a seguito della illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 323 cosi' come introdotta dalla legge n. 86/1990 tornino a rivivere quelle ancor prima vigenti (ed in particolare gli originari artt. 323 e 324 c.p.), raffrontare e comparare queste ultime con la norma attuale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2, comma 3, c.p. Soltanto nel caso in cui la Corte costituzionale dichiarasse la legittimita' dell'art. 323 del testo del 1990, la norma in esso contenuta potra' essere presa in considerazione ai fini della valutazione e comparazione di cui all'art. 2, comma 3, con possibilita' di applicazione della giurisprudenza della suprema Corte dianzi citata. In sostanza, qualora il fatto contestato, commesso nella vigenza dell'art. 323 c.p., testo del 1990, sia riconducibile anche alla fattispecie dell'art. 323 nuovo testo c.p., la questione della legittimita' costituzionale delle prima norma e' certamente rilevante, laddove, in caso contrario, il giudizio puo' essere definito senza ricorrere all'intervento della Corte costituzionale. 2. - Quanto in rilevanza. Fatta questa premessa si deve quindi procedere alla verifica in astratto della riconducibilita' dei fatti contestati agli imputati nella fattispecie normativa del nuovo art. 323, c.p., al fine di accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come individuato nella vigente norma "siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato" (cosi' Cass. 25 gennaio 1993, n. 553), o comunque se gia' dalla stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto. Si ritiene che, nel caso di specie, non sussistano i presupposti per l'emanazione di una sentenza di n.d.p. o di n.l.p., poiche' dall'esame dei capi a) e b) d'imputazione risulta che negli stessi sono state contestate agli imputati condotte di abuso astrattamente sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo, le condotte descritte, avvenute nell'esercizio delle funzioni di sindaco (quanto Piasini) e di componente la commissione edilizia (quanto allo Zani). Inoltre non puo' escludersi che l'abuso come contestato al capo a) sia consistito anche in violazione di legge o di regolamento (tenuto presente che la giurisprudenza prevalente qualifica come "regolamento" il piano regolatore generale), mentre l'abuso di cui al capo b) appare avvenuto in violazione di un dovere di astensione. Essendosi, poi, i reati contestati, consumato il 24 novembre 1993 ed il 5 agosto 1994, non sussistono neppure i presupposti per dichiarare la sopravvenuta prescrizione del reato. Risulta pertanto rilevante la questione di legittimita' costituzionale in oggetto. 3. - Quanto alla non manifesta infondatezza. 3.1. - Violazione dell'art. 25 Cost. Si ritiene al riguardo che il principio di tassativita' cui, a norma dell'art. 25, secondo comma, Cost., devono conformarsi le norme incriminatrici penali, esprima l'esigenza di evitare la genericita' e l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo che non soltanto sia assicurata al giudice la possibilita' di individuare, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici, la condotta penalmente rilevante, ma anche per consentire ai consociati di conoscere preventivamente cio' che e' reato da cio' che non lo e'. Cio' posto, l'interpretazione corrente della norma di cui all'art. 323 testo previgente ricomprende nella condotta dell'abuso "ogni violazione del parametro di doverosita' come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalita', imparzialita' e buon andamento della p.a." (cosi' Cass. 9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione dai fini istituzionali della p.a. (cosi' Cass. 5340/1993), nonche' gli atti viziati da eccesso di potere. La suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente, non consente di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure quali "parametro di doverosita'" e "fini istituzionali" e l'assenza di una definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto e' in costante evoluzione e cambiamento. 3.2. - Si ritiene inoltre che la incertezza della norma di cui all'art. 323 non permetta un efficace esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24, secondo comma, Cost.). 3.3. - Violazione dell'art. 97 Cost. La fattispecie di cui all'art. 323 c.p., si caratterizza per i termini del tutto evanescenti della nozione di abuso d'ufficio, e per il ruolo centrale del dolo specifico, che finisce per decidere della stessa illeceita' di una condotta di per se' neutra, in evidente conrasto con le esigenze di tassativita' sottese al principio di legalita' in materia penale. Tale insufficiente determinatezza del delitto di abuso d'ufficio compromette il buon andamento della pubblica amministrazione, poiche' le incursioni del giudice penale nella sfera amministrativa, in assenza di univoci criteri oggettivi idonei a delimitare il confine tra lecito ed illecito, rischiano di paralizzare anche le piu' ordinarie attivita' dei pubblici funzionari. (cosi' tribunale Piacenza, 16 aprile 1996). Pertanto non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra sollevata d'ufficio.